randy-fath-ymf4_9Y9S_A-unsplash

ESG – trending topic o rivoluzione profonda?

di Melania Pecoraro

ORMAI TUTTI NE ABBIAMO SENTITO PARLARE. FACCIAMO CHIAREZZA SUi criteri "ESG" ed il loro impatto sulle aziende.

Guardare al business da una prospettiva di sostenibilità è già la rivoluzione (neanche troppo) silente che sta attraversando il nostro tempo. Che non si tratti quindi di un fenomeno “di moda” ma di un processo che sta già cambiando il modo di fare impresa è certo.

Per esempio, è della scorsa estate la diffusione dello studio “Measuring the Sustainability Performance of European Companies 2021” realizzato da EcoVadis e da Médiateur des entreprises su oltre 90.000 valutazioni di sostenibilità di oltre 50.000 aziende europee e delle aree OECD e BRICS dal 2015 al 2020, a dimostrazione di quanto si stia strutturando l’ecosistema ESG.

Ma andiamo per gradi.

ESG è l’acronimo di Environment, Social, Governance e si riferisce agli ambiti in cui le aziende dovrebbero essere virtuose, ovvero sempre più sostenibili, dimostrando il proprio impegno nel migliorare continuamente il proprio rating, detto appunto rating ESG, sempre più considerato da investitori e stakeholder, siano essi banche, enti oppure dipendenti e clienti finali.

Questa attestazione di sostenibilità prende il nome di “rendicontazione non finanziaria” (Disclosure ESG) e per ora è obbligatoria per le aziende con un fatturato superiore ai 50MLN di euro, ma dall’Europa sono in aumento le direttive che obbligano aziende anche più piccole ad includere al bilancio finanziario anche quello di sostenibilità.

A tal proposito la Direttiva UE 2014/95 – D.Lgs 254/16 stabilisce nuovi standard minimi di reporting in materia ambientale e sociale, in relazione alla gestione del personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta alla corruzione attiva e passiva.

Tutti i “fenomeni” non perfettamente incasellabili e non immediatamente riconoscibili con opere tangibili sono un po’ difficili da comprendere: ecco perché alcune persone pensano di non averne mai sentito parlare. Quasi sicuramente però ognuno di noi è già entrato in contatto con qualcuno che si sta interessando o addirittura occupando di ESG. 

Ma, in pratica, che cosa significa “occuparsi di ESG”?

Il processo di ESG

Occuparsi di ESG per un’azienda significa avviare un vero e proprio processo di miglioramento della sostenibilità globale dell’impresa, indicativamente con cicli della durata di un anno, che parte dall’analisi della situazione di partenza, passa per l’elaborazione e l’attuazione di una strategia di miglioramento e termina con la redazione del bilancio di sostenibilità e la comunicazione dei risultati.

Ognuna di queste fasi prevede una serie di step intermedi che aumentano al crescere delle dimensioni dell’azienda.

Fase 1: assessment di sostenibilità

Si parte facendo una fotografia dell’impatto attuale dell’impresa nei tre ambiti principali: quello ambientale (Environment), legato ad emissioni, sprechi ed inquinamento; quello sociale (Social), legato alle ricadute del business aziendale sui territori e nei contesti civili coinvolti, dai siti produttivi alle comunità in cui l’azienda opera; infine quello interno (Governance), che riguarda l’etica aziendale e il benessere dei dipendenti, nonché la trasparenza e la correttezza gestionale e amministrativa dell’azienda.

Fase 2: obiettivi, strategia e processi – le “better practice”

Nella seconda fase le figure (interne, esterne o un mix delle due) preposte a gestire il progetto di ESG definiranno insieme al management gli obiettivi di miglioramento, che dovranno poi essere misurati e rendicontati secondo gli standard internazionali e nazionali vigenti. Attualmente siamo in attesa che vengano pubblicate dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) le indicazioni circa gli standard di rendicontazione cui aderire. Come modello di riferimento possono essere utilizzati gli Standard GRI – Global Reporting Initiative nella versione Universal Standard 2021, che sostituisce la versione 2016 a partire dall’esercizio 2022.

Per raggiungere gli obiettivi preposti dovrà essere elaborata una strategia che sarà poi declinata in processi interni. Tali processi operativamente coinvolgeranno più dipartimenti aziendali, i quali dovranno recepire correttamente le indicazioni e modificare la propria operatività quotidiana. Va da sé che più un’azienda è grande e strutturata più quest’attività risulta onerosa e lunga nel tempo. Per questo è importante capire che i processi di ESG devono essere gestiti da figure e team dedicati e non possono esaurirsi con iniziative sporadiche calate dall’alto. Si tratta al contrario di instaurare nell’operatività aziendale delle nuove pratiche, migliori delle precedenti… potremmo quindi chiamarle “better practice”.

In questo il ricorso alle tecnologie digitali di comunicazione e informazione interna può fare la differenza.

Fase 3 – Disclosure ESG e comunicazione dei risultati

Abbiamo capito che il processo di ESG è qualcosa di vivo e continuativo, sempre mutevole, una sorta di “lievito madre” che continua a evolversi e migliorarsi. Se esso ha un inizio nel momento in cui l’impresa prende consapevolezza della sua necessità e si attiva, possiamo dire che una vera e propria fine non ce l’ha.

Quello che però certamente si può – si deve – fare è rendicontare annualmente i progressi e i risultati ottenuti durante l’attuazione del processo/progetto di ESG. Lo si fa attraverso la produzione del documento ufficiale preposto, la rendicontazione non finanziaria (Disclosure ESG) e attraverso un piano di comunicazione – sia esterno che interno – che dia evidenza dei risultati ottenuti, ovvero di come sia migliorato l’impatto dell’azienda nei tre ambiti di interesse. Via libera allora nel parlare di cambiamenti nel sistema produttivo atti a ridurre emissioni e consumi, di una gestione delle risorse umane più attenta, di trasparenza finanziaria… e ancora di attività di CSR – Corporate Social Responsibility attuate in territori svantaggiati, di iniziative di solidarietà e di sostegno a progetti ambientali, etc… 

Ogni azienda ha delle specificità e saprà dove concentrarsi per ottenere i risultati più significativi in termini di riduzione dell’impatto negativo e incremento dell’impatto positivo.

La parte di comunicazione rivestirà un ruolo fondamentale nel rendere merito degli sforzi messi in campo e nel coinvolgere tutti nella nuova mission aziendale: dipendenti, clienti, utenti, fornitori, media, investitori, enti, banche… ovvero gli stakeholder, i “portatori di interesse” in ciò che l’azienda è, in ciò che fa e nel suo potenziale. Importante sottolineare poi che, anche se l’obbligo per ora riguarda le medie-grandi imprese, ci sarà sempre più richiesta di certificare la propria filiera produttiva: ciò significa che anche per essere fornitori di tali imprese sarà necessario dimostrare di essere sostenibili. Questo consentirà una maggior facilità di accesso alle gare, soprattutto con la Pubblica Amministrazione. 

Ci avevate pensato?

Dai “nativi digitali” ai “nativi ESG”

Ecco quindi che questi temi non appaiono più così astrusi e lontani e si capisce come prima o poi tutte le realtà produttive se ne dovranno interessare, per continuare ad essere competitive sul mercato e anche più attrattive per i talenti, soprattutto i giovani, sempre più attenti al tema sostenibilità. Dopo i “nativi digitali” arrivano i “nativi ESG”. Guardatevi intorno, probabilmente sono già tra voi!

MIURA è parte attiva di un network specializzato in progetti ESG per le aziende.

Hai domande su questi argomenti? Contattaci.

Thanks to SSC – Strategia e Sviluppo Consultants per spunti e dati.

«Il Recovery Plan trasforma l’immensa sfida che affrontiamo in un’opportunità, non solo sostenendo la ripresa, ma anche investendo nel nostro futuro: il Green Deal europeo e la digitalizzazione daranno impulso all’occupazione e alla crescita, alla resilienza delle nostre società e alla salute del nostro ambiente. Questo è il momento dell’Europa.»  – Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea

Tags: No tags

Comments are closed.